Il movimento è vita. La vita è un processo. Migliora la qualità del processo e migliorerai la qualità della vita.
Così scriveva Moshe Feldenkrais il secolo scorso. Egli aveva individuato il movimento come chiave di volta per la consapevolezza, in quanto allinea azione, emozione, sentimento, pensiero. E’ la nostra modalità di connessione e interazione con noi stessi e con il mondo, la manifestazione dei nostri bisogni, delle nostre funzioni vitali, delle nostre intenzioni… respirare, guardare, ascoltare, osservare, orientarsi, dirigersi, ritrarsi, aprirsi, chiudersi, rilassarsi, irrigidirsi, aggredire, fuggire, toccare, accarezzare, abbracciare e via dicendo. La vita si delinea come un processo sensoriale che si esprime nel movimento. L’interazione con l’ambiente è un continuo flusso di informazioni che attraverso gli organi di senso arrivano al sistema nervoso e stimolano risposte di adattamento, in una comunicazione circolare (e un impatto) tra noi e l’ambiente esterno, in una continua trasformazione dell’insieme. Se la qualità delle informazioni si abbassa, come per un incidente, si interrompe il flusso “ideale” e ne consegue un impoverimento dell’uso che possiamo fare di noi stessi. C’è da dire che negli odierni stili di vita questo impoverimento è in agguato anche nella “normalità”, perché in genere non ci muoviamo al massimo del nostro potenziale. Accade anche ai bambini, limitati dal comfort (si veda l’uso dilatato dei passeggini con bambini in grado di camminare), dalla tecnologia (bambini seduti davanti a schermi di diversi apparecchi) e dalle paure degli adulti (giusto per fare un esempio, mi capita spesso di sentir dire “non correre che cadi”). Il problema è che limitando il movimento si limita anche l’apprendimento, in quanto la funzione motoria è parte integrante delle funzioni cognitive, come ormai ampiamente affermato dalle neuroscienze. Questo tipo di apprendimento, detto organico, inizia nell’utero e continua per tutta la vita, grazie all’apprendimento innato del sistema nervoso, come diceva Feldenkrais, e che oggi la scienza definisce “neuroplasticità”. Che cosa stimola questo apprendimento? Non certo le limitazioni, le abitudini, le cose fatte sempre allo stesso modo, bensì le variazioni, l’inusuale, i tentativi, gli errori, che sono fonte di informazioni nuove, quelle di cui il cervello ha bisogno per creare nuove connessioni neuronali, nuove mappe: sentiamo, osserviamo, percepiamo, impariamo, ci evolviamo… c’est la vie. Ed è esattamente quello che mette in atto il Metodo Feldenkrais, una pratica integrata al vivere quotidiano, in quanto tutti i movimenti proposti sono quelli del normale funzionamento di un essere umano. Durante una lezione di Consapevolezza Attraverso il Movimento (in gruppo) o di Integrazione Funzionale (individuale) si permette alle persone di sperimentare, in una situazione di comfort e di sicurezza, il proprio movimento legato a gesti, azioni, funzioni in una sorta di rallenty che permette di osservare se stessi nel proprio agire e nelle proprie abitudini, scoprire ciò che limita e sperimentare nuovi modi. E’ un momento sperimentale per poter rientrare nella quotidianità arricchiti, con un’immagine di sé (self image) più chiara e precisa, una più ampia gamma di movimenti, la possibilità di scegliere e quindi uno stato di maggiore libertà, uscendo da schemi impoveriti che impoveriscono la vita stessa e che ne abbassano la qualità. Credo sia questa la peculiarità del Metodo Feldenkrais, legata a uno scienziato innovativo come Moshe Feldenkrais: il fatto di collegare i movimenti che si esplorano nelle lezioni a una funzione, ossia a gesti e azioni concrete, ma senza esplicitarli, così da evitare che l’attenzione posta all’obiettivo distolga la mente dall’osservazione del movimento nel suo farsi e quindi dalla possibilità di scoprire le innumerevoli possibilità.
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