Si sa che il cervello controlla il corpo, ma non sempre si è consci di come il corpo stesso condizioni il cervello. L’attività cerebrale è in costante movimento in base a quello che fa il corpo, nel suo compito di interpretare e di mettere ordine nel disordine. Questa attività ci permette di attivare un processo di biofeedback: modificare le funzioni cerebrali portando la nostra attenzione ai messaggi provenienti dal corpo, come il respiro, la frequenza cardiaca, le tensioni muscolari ecc. Il cervello registra i segnali fisici e li rielabora continuamente, ma in genere non ne siamo consapevoli. Portare attenzione significa prendere coscienza di questo processo, osservarlo, conoscerlo, per conoscere meglio noi stessi e il nostro modo di relazionarci all’Altro.
Il ritardo fra pensiero e azione è la base per la consapevolezza (Moshe Feldenkrais).
I motivi dei segnali fisici possono essere i più vari: ad esempio se aumenta la sudorazione, potrebbe essere per il caldo oppure perché stiamo per varcare la porta di una stanza in cui dovremo sostenere un colloquio di lavoro… ogni segnale comunque ci avverte che sta accadendo qualcosa di importante per noi e se impariamo a percepire questi messaggi velocemente, osservarli, analizzarli e interpretarli, allora saremo facilitati a individuare e a riconoscere i nostri bisogni e ad agire anziché reagire, grazie all’attivazione di un osservatore neutro. Facciamo un esempio: se il mio stomaco si chiude durante uno scambio verbale potrebbe dirmi che in quello scambio c’è qualcosa che non “mi va giù” e forse riesco a interromperlo prima che diventi insopportabile: ho attivato l’osservatore e posso permettermi di scegliere. Non è facile, ma qualunque cosa accada, anche scoppiasse un litigio, l’abitudine a portare attenzione a noi stessi (ai segnali fisici) ci può aiutare in qualsiasi momento a rientrare in uno stato di osservazione, così da individuare il nostro bisogno emozionale, riconoscendo anche quello dell’altro. Ci dà inoltre la possibilità di dar voce alle emozioni, senza che si annidino dentro di noi, provocando tensioni muscolari, stress, dolori cronici. In questo dialogo tra corpo e cervello il Metodo Feldenkrais ha una funzione di “facilitatore”, poiché durante le lezioni collettive di Consapevolezza Attraverso il Movimento o le sedute individuali di Integrazione Funzionale ci abitua a osservare le nostre sensazioni fisiche interne e in relazione all’ambiente, a conoscere le nostre abitudini di risposta e a esplorarne di nuove. Diventiamo più flessibili e meno automatici nelle nostre risposte agli stimoli ambientali. Diventando più attenti a noi stessi, ci accorgiamo più facilmente dei più piccoli cambiamenti fisici, specchio del nostro stato emotivo e psicologico.
Quello che mi interessa non sono corpi flessibili, ma menti flessibili (Moshe Feldenkrais)
Molto spesso le nostre scelte di comportamento sono dettate dalle abitudini, dalle convenzioni, dall’educazione, dalla paura del giudizio e questo ci porta a non ascoltare e a non riconoscere i nostri bisogni, come se non fossero legittimi, ma questo provoca la malattia. Il riconoscerli in modo neutro ci aiuta a legittimarli e a esprimerli, senza giudizio per noi e, di conseguenza, senza giudizio per gli altri e questo è un modo sano per relazionarsi, fatto di chiarezza, onestà e autenticità che ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri: impariamo a dire sì con generosità ma sappiamo dire no con semplicità, noncuranti dell’opinione altrui. Nella mia esperienza di insegnante Feldenkrais è molto bello vedere come cambia la percezione che le persone hanno di se stesse e come cresce la loro autostima. Se all’inizio tendono a giudicarsi e a dare una valutazione sul loro modo di muoversi, preoccupate di “fare giusto” o “fare bene”, via via che procedono con le lezioni diventano più attente a come si sentono e non si sforzano più, rispettano se stesse, godendosi il movimento, cercando e provando piacere, sostituendo lo sforzo con la curiosità. Non sentono più il dovere di fare un movimento secondo un’idea o un modello preesistente, ma giocano con le diverse possibilità. Si conoscono di più e quindi si accorgono immediatamente delle tensioni muscolari e delle scomodità, prima durante le lezioni e poi nella vita quotidiana e raccontano queste scoperte con soddisfazione: “prima non me ne accorgevo”, dicono. Iniziano, cioè, a trasferire nella vita pratica l’esperienza che fanno a lezione, che è poi l’obiettivo del Metodo Feldenkrais: uscire dall’autocostrizione, così come dalla costrizione altrui, per essere se stessi e piacersi così come si è.
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